Marchiati e felici Lo sciame umano (Mark W. Moffett, 2018)

Non sono stato benissimo negli ultimi tempi. Dopo un’estate “spensierata” per via di lavori massacranti, è giunto un triste autunno che recava i presagi di cosa sarebbe successo nei mesi a venire: non c’è stato un singolo giorno di questo inverno in cui non abbia rimuginato su ciò che stava accadendo. Lo ammetto: sono stato letteralmente assillato da una legislazione “d’emergenza” che solo a me pareva schifosamente discriminatoria e ben poco sanitaria. Me ne sono reso definitivamente conto a fine anno in una cena tra amici: per la maggior parte di loro il problema erano i vaccini (mai abbastanza per definizione governativa…), per me il lasciapassare (in quelle stesse ore il governo vietava perfino di prendere l’autobus agli studenti non vaccinati…). A quel punto ho deciso di provare a sensibilizzare qualcuno sulle discriminazioni in atto: col risultato che mi sono fatto il sangue acqua, ho perso qualche “amico” e qualcun altro m’ha preso per deficiente o fuori di senno. Pazienza.

Pertanto ho rifatto mio il motto di Spinoza: non ridere, non lugere, neque detestari, sed intelligere. Non potendo fare concretamente molto né contro le leggi né contro le strane idee “democratiche” dei miei amici (figuriamoci contro gli aguzzini dotati di app apposita!), ho provato semplicemente a capirci qualcosa. L’interrogativo è sempre quello: com’è possibile che gli esseri umani si comportino in modi così schifosi? (E per “schifosi” intendo fascisti, razzisti, classisti, discriminatori). Da tempo il miglior modo per rispondere mi pare per via biologica anziché psicologica (gli esperimenti di Milgram e Zimbardo, per quanto affascinanti, hanno più di qualcosa che non va – ne riparleremo prossimamente). Mi sono ritrovato tra le mani per caso Lo sciame umano di tale Mark W. Moffett, un biologo che non conoscevo, e non mi sono fatto scoraggiare dalla mole.

Il libro è lungo e a tratti pesantuccio: Moffett in fondo non è un Diamond o un Dawkins, non ha la loro capacità narrativa, e si perde spesso in lunghe descrizioni etologiche di altre specie animali prima di arrivare al punto. Quando ci arriva, però, è estremamente interessante. «Gli animali vedono le loro società come un insieme particolare di individui: una distinzione del tipo “noi” contro “loro”». Dobbiamo partire da qua, da questo senso di appartenenza animalesco, per capirci qualcosa. Se nelle prime società tribali di cacciatori-raccoglitori era molto semplice capire chi era dei “nostri” perché ci si conosceva tutti personalmente, man mano che le società si stanziavano e si ingrandivano diventava sempre più difficile tenere a mente tutti quelli del proprio gruppo. Moffett rileva che l’essere umano è uno dei pochissimi animali, oltre agli insetti sociali come api e formiche e ai capodogli, a vivere in “società anonime”, ovvero in raggruppamenti in cui non si conoscono gli altri membri della società. Sorse pertanto il problema di “marcare” gli altri…

«Bandiere, canzoni patriottiche e altri espliciti segnali di nazionalità non sono che i più ovvi tra i vari modi con cui la gente indica e recepisce i suoi legami sociali». In realtà secondo Moffett qualsiasi cosa può essere un marcatore: prima di arrivare alle bandiere vi furono le caratteristiche fisiche (compreso il colore della pelle), le acconciature dei capelli, gli abiti, certi ornamenti e così via – per non parlare del più difficilmente falsificabile, la lingua nativa, nonché altri dettagli più sottili come la gestualità o il modo di muoversi. I marcatori furono inizialmente essenziali per la nostra sicurezza: solo che poi sono rimasti e hanno cominciato a mostrare l’altra faccia. «La repulsione nei confronti di qualcuno che ignora importanti norme di comportamento può essere così profonda che, per la stessa infrazione, un deviante appartenente alla società può essere trattato più duramente di un forestiero… viene ostracizzato, stigmatizzato, costretto a cambiare o trattato come straniero». Qualcuno si rivedrà in queste parole…

Il nostro bisogno di marcatori sociali è pure ciò che ha fatto sorgere il razzismo (discriminazione in base a caratteristiche fisiche) e il classismo (simboli utilizzati e ostentati per segnalare la propria posizione nella gerarchia sociale). Al di là di tutto, il vero motore per l’uso dei marcatori è il conformismo, l’innato terrore dell’essere umano di restare dalla parte minoritaria: «dietro lo sviluppo di un marcatore… potrebbe esserci stato l’impulso a ripetere il comportamento degli altri nel gruppo». E quando l’imitazione reciproca non bastò più, si passò alle minacce e alle leggi: «man mano che le società si facevano sufficientemente popolate e diffuse, all’uomo occorreva una garanzia costante dell’attaccamento di tutti al gruppo. Prassi specifiche della società non venivano più copiate a piacere, ma imposte: una persona che si comportava in modo inaccettabile adesso avrebbe scioccato anche i suoi amici».

Il mio lettore avrà già capito dove voglio andare a parare: quell’immane porcata chiamata greenpass non è altro che un marcatore imposto dall’alto per dividere la gente (e dunque governarla meglio), per discriminare una minoranza senza una vera ragione sanitaria (avrei potuto capire tamponi per tutti a prescindere dal vaccino, a limite!), per umiliarla ed escluderla dalla società e sostanzialmente per punirla per la disobbedienza. Mi stupisce che così tanta gente ne sia entusiasta o almeno lo giustifichi: ma poi capisco che è diventato una mera questione identitaria, e allora mi spiego com’è che più i nostri amici si sentono di “sinistra” e più sono a favore dell’orrido qr code (sia mai che sei contrario e rischi di passare per complice della Meloni…). Il lettore di Moffett troverà invece in quel libro tante altre cose interessanti che spiegano anche i conflitti esterni, ovvero la guerra («ogni competizione e ogni conflitto con gli estranei dirotta l’attenzione delle persone dalle competizioni e dai conflitti sia reciproci sia delle loro identità di gruppo»). Ma qua stiamo già parlando dell’argomento del prossimo mese.

(Pubblicato nel numero 424 di Sicilia Libertaria)

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