Burocrazia portami via Burocrazia (David Graeber, 2015)

In questi giorni cessa – almeno fino a prova contraria – quello che per molti è stato un incubo discriminatorio, l’imposizione di uno strumento che, a detta del miglior politico italiano dai tempi della repubblica, avrebbe dovuto dare – cito testualmente – «la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose». (Non nomino né il politico né lo strumento, ché non voglio insozzare i miei paragrafi). Molti miei amici e lettori sanno che non ho preso la cosa particolarmente bene: ho passato questi mesi a cercare spiegazioni; soprattutto mi ha sconvolto come molta gente abbia accolto questa operazione fascista addirittura con fiducia e sollievo, mentre il mio buon senso si contorceva e il mio senso di giustizia reclamava vendetta. Una spiegazione scientifica me l’aveva già data Moffett, di cui ho parlato due mesi fa, ma non mi è bastata. È giunto in soccorso il compianto David Graeber con il suo Burocrazia (il titolo originale per intero è molto più esplicativo: The Utopia of Rules: On Technology, Stupidity, and the Secret Joys of Bureaucracy).

Graeber ci avverte fin dalle prime pagine che siamo entrati nell’era della “burocratizzazione totale”: «la burocratizzazione della vita quotidiana comporta l’imposizione di regole e norme impersonali; ma queste regole e norme impersonali, a loro volta, hanno bisogno della minaccia della violenza per funzionare» – in una parola: sbirri. «In quest’ultima fase della burocratizzazione totale, abbiamo visto materializzarsi ovunque telecamere di sicurezza, scooter della polizia, soggetti autorizzati al rilascio di documenti temporanei d’identità e donne e uomini in vari tipi di uniforme, a titolo pubblico o privato, che vengono addestrati alla minaccia, all’intimidazione e all’uso della violenza fisica». Fosse vissuto un anno in più, avrebbe visto l’ampliamento di questo potere e le sue infinite diramazioni presso la società civile: in pratica, la violenza dilagante disposta dall’alto per spezzare il corpo sociale, il tutto implementato tramite la burocratizzazione dei rapporti umani mediati da un qr code.

È l’ultimo step di una trasformazione culturale in cui gli strumenti burocratici aziendali «hanno invaso il resto della società – la scuola, la scienza, il governo – arrivando a permeare praticamente ogni aspetto della vita quotidiana». Il problema è che «più permettiamo agli aspetti della nostra esistenza quotidiana di entrare nella sfera d’influenza delle normative burocratiche, più ci rendiamo complici nel sottovalutare il dato di fatto… che in fondo tutto si basa sulla minaccia della violenza fisica». Questa minaccia è così diffusa che non ci accorgiamo più di essere minacciati: anzi, non riusciamo nemmeno a immaginare come sarebbe non esserlo. Graeber nota che il ricorso alla polizia è sempre più diffuso in ogni ambito, al punto che molti hanno dimenticato che abbiamo vissuto per migliaia di anni senza le cosiddette “forze dell’ordine”. «La polizia passa la maggior parte del tempo a far rispettare una serie infinita di norme e regole su chi può comprare, vendere, fumare, costruire, mangiare e bere che cosa e dove… in parole povere, i poliziotti sono burocrati armati».

Secondo Graeber le burocrazie sono in fondo forme utopiche di organizzazione, basate su rapporti freddi e impersonali che dovrebbero garantire uguaglianza e pari trattamento a tutti; in realtà fissano standard impossibili per poi dare la colpa ai singoli individui perché non riescono a rispettarli. «L’attività principale dei burocrati è valutare. Sono continuamente impegnati a misurare, controllare, confrontare e soppesare i meriti di piani, proposte, domande, linee d’azione»: purtroppo a farne le spese e a subirne gli effetti peggiori sono soprattutto i poveri, tenuti costantemente sotto osservazione da burocrati moralisti e invadenti; di più, «in tutti i paesi ricchi ci sono ormai schiere di funzionari la cui mansione primaria è far sentire in colpa i poveri», per non parlare del fatto che la burocrazia favorisce puntualmente certi gruppi privilegiati, spesso su base razziale. Pertanto la discriminazione, lungi dal venire debellata, viene anzi istituzionalizzata e diventa sempre più difficile sfuggire alle maglie del controllo pervasivo e totalitario.

In questi mesi la cosa che più mi ha stupito è stata il silenzio della sinistra, anzi il suo supporto attivo a queste politiche destrorse. Parimenti ho notato come chi si mostrasse contrario al lasciapassare e scettico verso la gestione della pandemia venisse preso per uno di destra. Ora, non sono più “di sinistra” da anni, ma certamente non sono mai stato di destra. Essere preso per fascista solo perché ho alcune idee contingentemente sbandierate da alcuni di destra non è stato piacevole; per fortuna Graeber ci spiega che «ogni soluzione di sinistra “moderata” a qualsivoglia problema sociale… si è invariabilmente rivelata una commistione da incubo tra i peggiori elementi della burocrazia e del capitalismo… come stupirsi, quindi, se ogni volta che c’è una crisi sociale è la destra, e non la sinistra, a fare da valvola di sfogo all’indignazione popolare?». Molti che hanno parlato di “nuovo apartheid” sono stati presi per scemi; eppure lo stesso Graeber ci ricorda che «il passaggio all’apartheid negli anni cinquanta… fu anticipato da un sistema di pass pensato per semplificare le regole preesistenti»…

Graeber ci ha lasciati prematuramente nel settembre del 2020, mentre era in vacanza a Venezia. Non ha fatto in tempo a vedere l’orrido spettacolo fatto di lasciapassare a tempo determinato, di diritti basilari sotto ricatto, di totale burocratizzazione dei rapporti umani. Sua moglie in un articolo ne tratteggia un ricordo che ci fa capire come l’avrebbe presa. Schivando il suo leftism a buon mercato – con tanto di invettive contro Boris Johnson ritenuto responsabile diretto, per il suo atteggiamento iniziale verso la pandemia, della morte del marito, ipotizzata per il cosiddetto “long covid” – leggiamo che in realtà «era dura per David rispettare le regole dell’isolamento, non andare nei caffè, non incontrare i vicini; odiava le mascherine e cercava continuamente di riutilizzare i guanti monouso». Non abbiamo dubbi: sarebbe stato preso per complottista, fascista, negazionista e quant’altro solo per dire cose che pochi hanno ormai il coraggio di dire. E ovviamente sarebbe stato l’unico in Italia al supermercato senza mascherina.

(Pubblicato nel numero 426 di Sicilia Libertaria)

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