Sempre più stanco della società statuale La società della stanchezza (Byung-Chul Han, 2010)

Ricomincia lo stillicidio di decretini inutili e iniqui e io sono di nuovo stanco, scazzato e senza molta voglia di leggere cose serie: la mia attenzione già scarsa è definitivamente erosa dallo sforzo ermeneutico richiesto da ordinanze sempre nuove, multistratificate e autocontraddittorie. Così alla fine di questo splendido ottobre, tanto meteorologicamente bello da farmi dimenticare dei danni del riscaldamento globale, sono riuscito a terminare soltanto un libriccino piccolo piccolo: La società della stanchezza di Byung-Chul Han.

Piccolo ma non leggero, se non a livello di peso fisico: lo stile, la sintassi e il lessico sono di quelli che mandano in sollucchero i continentali (sottinteso filosofi) e lasciano perplessi o sdegnati tutti coloro dotati di raziocinio sano e amore per la chiarezza. L’incipit poi è proprio un capolavoro di intempestività e ignoranza scientifica: «Ogni epoca ha le sue malattie. Così, c’è stata un’epoca batterica, finita poi con l’invenzione degli antibiotici. Nonostante l’immensa paura di una pandemia influenzale, oggi non viviamo in un’epoca virale. L’abbiamo superata grazie alla tecnica immunologica». Cringe.

Ok: il libro è stato scritto dieci anni fa nella ricca Germania, e forse da quelle parti si può tuttora percepire di vivere in un’epoca con altri problemi che quelli virali (visitando oggi, ultimo di ottobre, i siti dei principali quotidiani tedeschi, vedo che aprono tutti con le elezioni negli USA: il corona viene più giù, dopo l’attentato a Nizza e lo tsunami in Grecia e Turchia – inutile vi dica come apre l’informazione italiana…). Ma è ingeneroso leggere un libro del passato alla luce della situazione attuale: diciamo che la previsione di Han è stata affrettata; o forse ha il suo fondo di verità, visto che le vittime di covid probabilmente dipendono più dall’efficienza dei sistemi sanitari che dalla pericolosità intrinseca del virus. Ad ogni modo, per Han le malattie del secolo sono quelle neuronali – depressione, deficit di attenzione, iperattività, disturbo borderline, burnout. Non dubito che queste si siano accresciute ulteriormente in questi mesi e si aggraveranno sempre più non solo a causa delle misure politiche angoscianti ma anche di quelle sanitarie che le hanno accantonate, come se non esistessero o non fossero gravi anch’esse.

Dicevo, il libro è scritto in quel modo aberrante sempre in bilico tra il mistero della fede e la supercazzola: lo prenderei come perfetto esempio di come non scrivere. Eppure tra le sue pieghe c’è qualcosa di interessante, qualche bagliore di sensatezza e profondità. Nel primo capitolo l’immunologia tanto citata non è quella di Burioni & co. – per fortuna! – ma quella metafisica della dialettica tra l’io e l’alterità. Possiamo scorgervi la paura per lo straniero quanto quella per le malattie (spesso le due cose si assimilano nelle teste dei fascisti d’ogni latitudine): in realtà l’epoca moderna, per Han, ha lasciato spazio alla violenza della positività «o dell’Eguale» (maiuscola sua), cioè di ciò che è indistinguibile da sé, che il corpo non percepisce immediatamente come nemico. La violenza virale si trova giusto a un passo da quella neuronale, la più subdola perché riconosciuta come parte di sé e dunque difficilmente debellabile.

Sì, lo so: siamo nella quasi totale astrazione speculativa, e di questi tempi sembra un po’ fuori luogo. Ma già dal capitolo successivo si fa riferimento a pensatori più piantati per terra come Foucault, sebbene per declamare il superamento della sua società disciplinare fatta di ospedali, manicomi, prigioni, caserme e fabbriche: «al suo posto è subentrata da molto tempo una società completamente diversa, fatta di fitness center, grattacieli di uffici, banche, aeroporti, centri commerciali e laboratori di genetica». In pratica saremmo passati da una società disciplinare a una società della prestazione. «La società disciplinare è ancora dominata dal no. La sua negatività produce pazzi e criminali. La società della prestazione, invece, genera soggetti depressi e frustrati». Ancora una volta mi sembra che il nostro filosofo corra troppo – o forse in dieci anni siamo tornati indietro di cinquanta: vedo ancora lazzaretti, galere e opifici, anzi pre-vedo che tra qualche settimana al massimo saranno gli unici posti aperti, ammessi e concessi.

Al contempo è anche vero che la nostra società richiede dalle persone anzitutto prestazioni. «Il soggetto di prestazione è più veloce e più produttivo del soggetto d’obbedienza. Tuttavia il poter-fare non annulla il dovere. Il soggetto di prestazione resta disciplinato». E ancora: «il soggetto di prestazione si abbandona alla libertà costrittiva o alla libera costrizione volta a massimizzare la prestazione. L’eccesso di lavoro e di prestazione aumenta fino all’auto-sfruttamento. Esso è più efficace dello sfruttamento da parte di altri in quanto si accompagna a un sentimento di libertà. Lo sfruttatore è al tempo stesso lo sfruttato. Vittima e carnefice non sono più distinguibili». È una cosa che può sperimentare chiunque si sia dedicato alla realizzazione di sé anche a livello economico, specie se non è esattamente uno squalo o un capitalista (che è poi lo stesso…): e in questi giorni l’imprendicariato è senz’altro la classe più colpita dai provvedimenti governativi.

Se poi usciamo dall’ambito strettamente economico per entrare in quello più personale, la principale prestazione del sé diventa la salute. Senza più nulla che ci liberi dalla paura della morte, cosa che una volta facevano le religioni (assieme ad altre cosette meno amene, certo…), la salute del corpo ha preso il posto della salvezza dell’anima. Con questa vi lascio alle dovute meditazioni pre-lockdown: «Dal venir meno della tanatotecnica negativa deriva l’obbligo di conservare la nuda vita assolutamente in salute. Già Nietzsche dice che, dopo la morte di Dio, la salute è innalzata a divinità. Se ci fosse un orizzonte di senso oltre la nuda vita, la salute non potrebbe assolutizzarsi in simile misura».

(Pubblicato nel numero 409 di Sicilia Libertaria)

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