Ancora attorno alla tv

Vorrei tornare brevemente (ma nemmeno troppo) sull’argomento del penultimo post. Qualche altra riflessione sparsa, forse doverosa dopo essere stato tacciato di banalità. Focalizzerò i punti che mi sembrano più urgenti, sperando di non ripetermi eccessivamente ma di chiarirmi definitivamente.

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La televisione come fonte di informazione. Questa è una problematica ampia e dolente. Diamo per assodato che l’informazione televisiva (mi riferisco principalmente ai canonici telegiornali) è quantitativamente e qualitativamente inferiore a quella che può offrire un quotidiano. Aggiungiamoci la smaccata parzialità e faziosità di diversi tg (una cosa però non dissimile dal target dei quotidiani, escludendo forse parzialmente i principali che tentano una maggiore imparzialità – anche se poi è soltanto medietà). Però è pur vero che l’informazione televisiva è rapida (in venti minuti sono condensati i principali fatti della giornata: nello stesso tempo non si arriva a leggere probabilmente neanche la prima pagina di un quotidiano), gratuita (c’è chi preferisce la mattina comprare un cappuccino piuttosto che un quotidiano; c’è chi vorrebbe acquistare il giornale ma non può permetterselo – vedi gli studenti), semplice. Su quest’ultima proprietà si può discutere in vari modi. Ad esempio entrando nel merito della semplicità dell’informazione in relazione alla complessità del soggetto che si informa: dev’esserci una parità tra il mittente e il destinatario, pena la parziale o mancata decodifica del messaggio. In soldoni: la tv è democratica anche perché risulta comprensibile a tutti (in caso contrario fallirebbe il suo scopo). E se tutti hanno diritto all’informazione, è un sommo bene che esistano dei medium e delle modalità (nel nostro caso, i tg) che riescono a fornire un’informazione che chiunque può facilmente comprendere e assimilare. Si può però parlare di “semplicità” (tra virgolette, stavolta) anche in relazione al diverso modo di fruire le notizie. Ricordiamo la querelle oralità/scrittura, col bilancino critico che pende verso la nobiltà di vecchia data (ma neanche troppo) che l’alfabeto trascina con sé. Si può discutere sul potere delle immagini, ma non dobbiamo dimenticare che la modalità di comunicazione audiovisiva è quella che simula meglio l’esperienza reale della comunicazione diretta (per quanto ovviamente nel caso della tv non c’è bidirezionalità e dunque dialogo). Certo, la sua implementazione televisiva è ancor più recente dell’invenzione della stampa o dell’alfabeto stesso, ma poco conta: se non risulto convincente con le mie chiacchiere, chiederò: non avreste forse preferito un filmato dell’operar di Socrate, piuttosto che le “sue” testimonianze platoniche? e (restando in ambito filosofico) non avremmo preferito le riprese televisive delle lezioni dei grandi maestri, piuttosto che gli appunti tramandatici dagli allievi? (N.B.: questo argomento è saltato fuori dopo la mia effettiva stesura di queste righe, per contingente consonanza, su un nuovo topic di Cybersofia…)

La televisione come medium volgare. Questa asserzione cela un’insidia, e sta nella duplice accezione (in questo caso) del termine volgare. Non volendo accorparne aristocraticamente i due significati, da veri snob che si precludono l’autentica esperienza pop, esaminerò entrambi i casi. La tv come medium “del volgo” è una pura tautologia, che non ci dice nulla di nuovo sul fatto che in Italia sia effettivamente il mezzo di informazione e intrattenimento più diffuso, seguito e pervasivo. Invece la tv come medium “triviale, sguaiato, grossolano” è cosa sulla quale discutere. Peccato che non si possa giudicare “spregevole” una cosa senza avere dei parametri o una scala di valori. (Che poi, chi dovrebbe/potrebbe fornircela? Democraticamente, il popolo? Temo in quel caso gireremmo in circolo, non smuovendoci in alcun modo dalla volgarità…) Rischiamo di cadere nella facile retorica che continua ad inveire contro le 4 C della tv (calcio, cosce, canzoni, cazzate). Rischiamo di elogiare l’integrità morale degli antichi (i dotti latini medievali che non parlavano volgare…). Rischiamo anche di non capire come si stiano trasformando cultura e società, se ci affrettiamo a dare giudizi di valore: la puzza sotto al naso ci evita l’immersione, ma da lassù si scorge ben poco…

Un mondo senza tv come utopia. È risibile credere alle utopie; è ridicolo fantasticarne una così ridotta. Fa poi addirittura tenerezza sentir parlare di “rivoluzione” (che in quanto tale è sempre di massa – anche se non sempre “da” –: ma come organizzarla senza mezzi di comunicazione appunto “di massa”?). Ci siamo rassegnati al fatto che la natura più profonda dell’uomo sempre quella è (e proprio per questo sorgono le speranze utopistiche che essa possa d’incanto mutare…). Si è pure “concordato”, alla fine, che l’uomo troverebbe sempre mezzi in cui far pulsare la propria mediocrità (che poi è semplicemente medietà, normalità e dunque naturalità – statisticamente parlando). E questo per tacere del fatto che non accetto lezioni di utopie rivoluzionarie da chi è contro il ’68…

Sull’illegittimità di trasmissioni televisive. La mia fatica nel cercare metri e parametri, di matrice scetticheggiante, sfocia nel non dare ascolto a chi voglia dettarci cos’è giusto e cos’è sbagliato “oggettivamente” (a-ha! – alla Nelson, non alla Dennett). Posso accettare delle norme grossomodo condivise, ma non dei valori imposti (e non sto parlando di tasse…). È fin troppo banale riaffermare che non siamo nessuno per dire cos’è lecito e cosa meno, chi sono io per vietare chicchessia etc. Però, nello spirito di accettare una legge, gradirei che essa fosse motivata (esempio, sulla scorta di ciò che è stato detto: la tv travisa giovani menti – ne abbiamo le prove, dati alla mano – corrompendo il loro voto a favore dei corrotti che poi ci governano insanamente causando maggiore infelicità per tutti: eliminiamola!). Per fortuna noto che non si vorrebbe davvero imporre l’offuscamento della tv: ci si limita a fantasticarlo. Ciò rende parimenti legittime pure le mie fantasie contro, che so io, il calcio (pur restando illegittima – o forse semplicemente inattuabile – la mia pretesa di eliminare per sempre quest’orrido e volgarissimo “sport”, checché possa argomentare Morris, e chi con lui, sulla biologicità del soccer e sulla naturalità delle sue tribù…).

Sul buon uso della tv. Sarebbe un discorso lunghissimo, perché avremmo a che fare con ciò che è già, con ciò che non è ma potrebbe essere, con ciò che vorremmo che fosse. E poi, la profonda soggettività (rimango trincerato nel mio relativismo scettico: si era notato?) che assumerebbe un simile discorso genererebbe un rumore bianco di infinite voci che si sovrappongono. Ad ogni modo il discorso potrebbe ormai essere anacronistico, visto il mutamento del broadcasting che viaggia ormai non solo sui canali televisivi (e quelli a pagamento ne moltiplicano lo spettro a dismisura), ma anche attraverso il numero sempre crescente di computer interconnessi tramite il web: si pensi ai servizi di pubblicazione/condivisione video, si pensi alla possibilità di videoconferenze: la tv tradizionale (quella “passiva”, o meglio monodirezionale, con la decina scarsa di canali) rimane sempre più un passatempo per vecchie zitelle.

L’inutilità di guardare la tv poiché fa schifo. Questo ci riporta alla disputa sulla volgarità: si parla di qualità – negativa – stavolta, ma è soltanto l’altra faccia della medaglia. Chi asserisce lo schifo della tv in toto non l’ha mai vista, o ne ha sempre colto soltanto determinati aspetti facendo di tutta l’erba un fascio. Farò degli esempi. Sabato sera seguo i documentari storici; domenica pomeriggio la trasmissione sui viaggi, la sera quella sulla divulgazione scientifica. Credete sia schifoso? Da parte mia ritengo di aver appreso qualcosa di nuovo in un modo che altrimenti mi sarebbe stato interdetto (perché una ricostruzione storica filmica è qualcosa di più delle aride pagine del manuale di storia, perché non ho i soldi per viaggiare o voglio prima orientarmi su dove andare la prossima estate, perché non ho le competenze per studiare materie scientifiche etc). A pranzo seguo i cartoni americani: fa schifo? Mi sono distratto un po’ dagli studi e ho evitato di parlare a tavola… con la bocca piena (ci sono occasioni più pacate per discutere). Lunedì sera guardo le animazioni tratte da un noto e intelligente fumetto: fa schifo? Martedì sera becco un epocale bellissimo film italiano irreperibile nelle videoteche (certo, a costo di chiudere più d’un occhio per le interruzioni pubblicitarie, ma meglio che niente…). Su queste cose si stenta ad emettere un giudizio tanto forte ed affrettato… La categoria della volgarità decade d’incanto, in entrambi i soliti sensi. Più semplice sarebbe opinare sui frutti del cosiddetto Masscult (domeniche buone, fratelli grandi e via dicendo): ma il fatto che c’è chi se ne pasce (e sono pure molti) non schifandosi minimamente (anzi!) dà da pensare, anche e soprattutto al filosofo (che anzi sa bene che la cosiddetta “volgarità” è magnetica, attraente, come l’istinto gregario o quello sessuale che del resto ad essa soggiaciono…); in ogni caso, peraltro, per fortuna tali prodotti cul-turali non occupano il 100% dei palinsesti (per quanto vi siamo forse vicini…); per non dire poi del fatto che il telecomando a qualcosa servirà… Complessa invece la valutazione dei cosiddetti programmi di approfondimento sull’attualità, spesso infestati da politici: voglio ancora tempo per rifletterci, ma ci vorrebbe del tempo anche per esaminarli tutti, nella loro molteplicità e nella loro varietà.

È il sistema della tv che non va. Questa la lascio per ultima perché potrei pure concordare: il fatto che tutto ruoti attorno alle pubblicità, il fatto che le tv siano in mano ai politici… Ma anche qui dipingiamo a tinte eccessivamente fosche il medium (di per sé neutro, ricordiamolo, come tutti i mezzi: come si può asserire che l’iconocrazia, la volgarità e la pubblicità siano “connaturati” al mezzo stesso? da quando in qua uno strumento tecnico ha una sua natura?): se non compro il solito gorgonzola e se non voto quel politico là, posso dirmi rovinato dalla tv? Dirai: saranno gli altri a farlo per te. Qui si interseca un’altra tematica, del resto sottesa in tutto il topic: La tv che condiziona ed influenza pesantemente. Non solo non tutti guardano la tv, ma anche quelli che lo fanno non ne sono necessariamente schiavi. E comunque, come misurare l’effettiva influenza della tv? Suppongo sia assai difficile, e intendo proprio metodologicamente, a livello sperimentale… Ad ogni modo, risponderò alle questioni con una considerazione tratta da un libro di sociologia della comunicazione (sull’opinione pubblica, per l’esattezza), parlando del problema della “terza persona”: quello per cui si tende a sottovalutare la propria influenza del medium sopravvalutando al contempo l’altrui dipendenza dallo stesso. Probabilmente ci casco anch’io come voi, certo, e tutto ciò che scrivo non è nient’altro che una lunga, disperata giustificazione per salvare la reputazione: un filosofo non dovrebbe soffermarsi troppo sulla tv (ma chi lo dice?) né tanto meno adularla (non lo faccio): ma nemmeno biasimarla come il peggior nemico che l’uomo abbia inventato, tentacolare mostro che si nutre di coscienze e libero arbitrio (ammesso che esistano) altrui

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Piccolo post scriptum: Su come facciamo a parlare della tv. Come, già. Effettuiamo le nostre osservazioni sulla tv di uno spazio-tempo ben preciso, delimitato e ristretto (l’Italia del Duemila: come se non esistano altri paesi in cui probabilmente la tv è combinata diversamente, o come se la tv da queste parti sia sempre stata un mostro, dal suo primo apparire nelle sale bar…). Ricorriamo all’opinione di Travaglio per sostenere le nostre idee (lo stesso Travaglio che, da qualche mese a questa parte, è costantemente in tv che manco quel politico là sotto le elezioni; lo stesso Travaglio che la settimana scorsa ha presentato il suo bravo nuovo libro nella trasmissione dove l’espressione delle proprie opinioni è solo strumentalmente subordinata rispetto alla sponsorizzazione del prodotto da vendere). Non guardiamo la tv per scelta se non quel poco che basta per corroborare i nostri preconcetti (avessimo almeno l’onestà di dire che la pasta al forno, col contorno di culi e cosce domenicali, va giù meglio…). Niente da dire: siamo proprio filosofi…

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