Insegnamenti per gli anni venti 21 lezioni per il XXI secolo (Yuval Noah Harari, 2018)

Con l’inizio del nuovo anno e del nuovo decennio ho ben pensato di portare a termine la trilogia di Yuval Noah Harari. 21 lezioni per il XXI secolo (Bompiani 2018): il titolo promette bene. A differenza delle due opere precedenti che avevano un impianto saggistico classico, questa ha una struttura più (post)moderna: è composta da ventuno capitoletti leggibili anche in modo indipendente e non sequenziale. La sua genesi spiega la forma più leggibile del solito: «il libro è stato scritto dialogando con il pubblico… in risposta a domande che lettori, giornalisti e colleghi mi hanno rivolto».

Disillusione. Lavoro. Libertà. Uguaglianza. Comunità. Civiltà. Nazionalismo. Religione. Immigrazione. Terrorismo. Guerra. Umiltà. Dio. Laicismo. Ignoranza. Giustizia. Post-verità. Fantascienza. Istruzione. Senso. Meditazione. Queste le ventuno tematiche, tutte permeate dallo sguardo di Harari che in quest’opera si rivela appieno: laico, illuminista, immanentista, disincantato. Anche stavolta toccherò appena alcuni punti – non m’interessa recensire libri: voglio solo far venire al lettore la voglia di leggerne alcuni che mi hanno colpito, poi ne parleremo. Harari è consapevole che siamo fortunati anche solo per questo privilegio: «miliardi di noi possono a stento permettersi il lusso di approfondire queste domande, poiché siamo pressati da ben altre urgenze… ciascuna di queste persone ha problemi assai più urgenti del riscaldamento globale o della crisi della democrazia liberale». Il problema è che adesso i problemi sono globali

«Un mondo globale esercita una pressione senza precedenti sui nostri comportamenti e sull’etica individuale. Ognuno di noi è intrappolato in numerose ragnatele, che mentre limitano i nostri movimenti trasmettono le nostre vibrazioni più impercettibili a destinazioni remote». Il punto di partenza imprescindibile per un ripensamento del presente è che viviamo tutti nel medesimo pianeta – un virus nato nell’altra parte del mondo arriva da noi in pochissimi giorni. «La specifica dimensione globale delle nostre vite personali mette in evidenza quanto sia importante denunciare i pregiudizi religiosi e politici, i privilegi razziali e di genere, e la conseguente involontaria complicità nell’oppressione esercitata dalle istituzioni» – per non parlare di quella volontaria… Intanto il modello politico democratico è apertamente in crisi: prima la crisi finanziaria del 2008, poi nel 2016 la vittoria di Trump e il voto sulla Brexit, che proprio nel giorno in cui scrivo diventa realtà… Sì, siamo nella merda: economicamente e politicamente.

«La narrazione liberale e la logica capitalistica del libero mercato incoraggiano le persone a coltivare notevoli aspettative… Nei decenni a venire, tuttavia, a causa degli effetti congiunti della rivoluzione tecnologica e della catastrofe ecologica, la generazione più giovane potrebbe già considerarsi fortunata se riuscisse a mantenere inalterate le condizioni attuali» (ce ne stiamo già accorgendo…). Secondo Harari non ci resta che creare una “narrazione” aggiornata per il mondo a venire: cosa che dovrebbero capire anche i governanti, che per reazione e paura – o semplice calcolo politico – danno sempre più seguito a storie dannose, illiberali, intolleranti. «I politici sono un po’ come i musicisti, e gli strumenti che suonano sono le nostre emozioni e il nostro sistema biochimico. Rilasciano una dichiarazione e il paese è travolto dal terrore. Mandano un tweet e provocano un’esplosione di odio». Ma in un mondo in cui il divario tra ricchi e poveri continua a crescere, dovremmo tornare a lottare – come insegnano i francesi, alla faccia di quello pseudosocialista di Macron…

Alcune tematiche vengono trattate in un modo inaspettato per un accademico. Un esempio è la religione, con particolare riferimento all’ebraismo ortodosso – legato a doppio filo alle politiche dello stato di Israele – finalmente e giustamente criticato da Harari. Eppure esiste qualcosa che ha più seguito della religione, e su cui dovremmo puntare la nostra attenzione: «al giorno d’oggi quasi tutti, fatte salve piccole varianti, seguono il modello economico capitalista, e siamo tutti ingranaggi di una sola linea di produzione… i biglietti verdi sono universalmente venerati senza riserve ideologiche da tutte le fazioni politiche e religiose». Il denaro è il nuovo oppio dei popoli…

«La gente continua a condurre uno sforzo eroico contro il razzismo tradizionale senza rendersi conto che il fronte della battaglia è cambiato. Il razzismo tradizionale sta venendo meno, il mondo adesso è pieno di “culturalisti”». Questa è la nuova forma di razzismo nella quale indulgiamo tutti – sì, anche noi progressisti. Nessuno, tranne qualche nostalgico, dice più che qualcuno è inferiore perché viene da una razza inferiore: ma da una cultura inferiore. Questo razzismo è più subdolo perché sembra avere un avallo dai fatti (una cultura patriarcale è inferiore – cioè meno progredita – rispetto a una liberale, dunque i musulmani sono et cetera et cetera). Pensiamoci.

«Homo sapiens è un animale narratore, che elabora pensieri grazie a storie piuttosto che per mezzo di numeri e grafici, e crede che lo stesso universo funzioni come una storia… Quando ricerchiamo il senso della vita, vogliamo una narrazione che ci spieghi che cosa è la realtà e qual è il mio particolare ruolo nel dramma cosmico». Ma proprio quando crediamo di aver trovato la chiave di lettura di quest’opera, Harari se ne esce così: «la democrazia è fondata sull’assunto che gli elettori sanno chi è meglio votare, il capitalismo del libero mercato presume che il cliente abbia sempre ragione, e l’educazione liberale insegna agli studenti a pensare con la propria testa. È però un errore riporre tutta questa fiducia nella razionalità degli individui». Nell’ultimo capitolo ci suggerisce sottovoce che la cosa migliore da fare è… meditare. Harari intende la Vipassana; io mi accontento della cara vecchia meditazione filosofica, usando questo libro come guida ma non come bibbia.

(Pubblicato nel numero 402 di Sicilia Libertaria).

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