Girava una storiella, laggiù al mio paesello: a un tale chiesero se leggesse. Certo!, rispose: leggo i sacchi della quacìna – del cemento cioè. Lì per lì ne risi; ora, dopo qualche anno, posso dire di aver fatto quella stessa fine. Le mie letture ormai sono perlopiù tecniche e al volo: inevitabile, con una casa da restaurare e una campagna a cui badare. Nondimeno ogni anno viene l’inverno: le giornate sono brevi e fredde, le coperte confortevoli e i materassi accoglienti. Con un buon libro si possono mettere gli occhi a riposo da Facebook e la mente riallineata con l’intelletto.
Il problema è che lo spazio per quel metro cubo e passa di libri accumulati nel tempo finora non l’ho avuto. Se per mesi non ho scritto è anche perché per mesi non ho (quasi) letto, e se non ho letto è (anche) perché non ho avuto a disposizione libri, o non quelli che avrei voluto: abbandonando la città tutti i tomi o quasi erano finiti dentro cartoni nello scantinato di amici, e lì sono rimasti per quasi tre anni, finché all’inizio di questo inverno sono potuto andare a riprenderli. Lo spettacolo non è stato dei migliori: il dihydrogen monoxide e lo stachybotrys chartarum hanno causato non poche vittime, e ancor più feriti e mutilati.
Negli ultimi soleggiati giorni di dicembre mi sono occupato personalmente di curarli, se possibile, o di cremarli nel caso non ci fosse nulla da fare. Intanto, tra una spazzolata, una spennellata di candeggina e una spruzzata di borotalco, ripensavo a come fossi giunto a quel miserabile punto. Secondo il mio ultimo censimento possiedo – o meglio possedevo – poco meno di millecinquecento libri, più centinaia di volumi di altro tipo (enciclopedie, dizionari, fumetti e via dicendo). Anche stimando di averne letti metà (una stima non troppo distante dal vero), e calcolando di leggerne d’ora in avanti un’ottima media di uno a settimana come ai gloriosi tempi, ne avrei fino al 2030. Cosa m’ha spinto a comperare libri come se non ci fosse un domani?
Probabilmente è stata tutta colpa di una persistente e pervasiva retorica a favore dei libri, associata a un indulgente decalogo dei diritti del lettore che ha entusiasmato non pochi bibliomani. Aggiungiamoci l’assenza di una legge contro gli sconti sui libri, e prima Ibs e poi Amazon e il disastro è servito: il mercato dei libri diventa consumistico e il lettore bulimico. Il corriere è il nostro pusher, i pacchi da aprire le nuove dosi. Eppure guarire dalla dipendenza da libri è possibile. Non dico disassuefarsi del tutto, ma almeno non essere più dipendenti dall’acquisto compulsivo. Basta seguire il più possibile il seguente decalogo.
1. Non comprare libri da vetrina. Quelli con copertina cartonata, con fascetta, con carta patinata, con foto dell’autore in quarta o terza o addirittura prima di copertina: fanno cagare a prescindere. Idem per i libri di attualità: domani saranno già superati.
2. Non comprare i best seller del momento. Anche se non stanno in vetrina, è alto il rischio che siano delle cagate; e comunque dopo due anni escono in edizione economica, e intanto avrai capito se ne valeva la pena.
3. Non comprare i classici. Perché ormai li trovi ovunque su internet, e anche nella più scalcagnata biblioteca di paese se preferisci il cartaceo. Inoltre non è il caso di continuare a fare arricchire Berlusconi sempre e comunque.
4. Non comprare libri di professori universitari. Non ci sarebbe nemmeno bisogno di spiegare perché; ma se proprio il docente in questione pretende il suo libro all’esame, fattelo prestare o compralo in comune coi colleghi (e poi rivendilo ai prossimi).
5. Non comprare i libri di amici e parenti. Molto presto andranno al macero e l’autore, disceso dall’empireo immaginario e saldato il venale editore, te ne regalerà una copia.
6. Non comprare libri di chi si dice favorevole alla diffusione della cultura. Che sia socialista, libertario o ecologista: se davvero vuole diffondere il sapere, perché dovrebbe farlo pagare?
7. Non comprare manuali, enciclopedie, dizionari e simili. Trovi tutto su internet, più rapidamente e più accuratamente (e se non sei soddisfatto, prova a cercare in inglese).
8. Non comprare l’intera bibliografia di autori che non hai ancora letto. Prova con un libro, il più famoso; dagli a limite una seconda chance ma non andare oltre: potresti ritrovarti con una decina di volumi di Pynchon, tutti illeggibili.
9. Non comprare libri di divulgazione di massa (compresi quelli scolastici). A quel punto meglio la televisione – e ho detto tutto.
10. Non comprare libri che temi che non leggerai mai. Puoi campare benissimo anche senza l’Ulysse, la Torah o la Phänomenologie des Geistes.
A questo punto però urge un comandamento positivo: compra solo libri che pensi che tra dieci anni potresti volere rileggere. Pensandola kantianamente, anche un libro dovrebbe poter avere un valore universale. Non è facile capire quale sia, ma inquadrare i libri come oggetti fisici, dotati di un loro peso (soprattutto!) e di una intrinseca fragilità rende il compito più semplice. Intendiamoci: ho tanti, troppi esemplari dei libri che oggi sconsiglio di acquistare. Ma averne perso alcuni, dopo una breve fase di lutto, mi ha aiutato a ridare il giusto valore ad ogni libro. Così, se avere ritrovato Morte a credito in condizioni pietose mi ha depresso non poco, specie per il prezzo dell’eventuale riacquisto, avere scovato qualche altro libro in condizione di carta straccia mi ha fatto aprire gli occhi su quello che è veramente – carta da camino, appunto. Al contempo ho capito che molti di quelli che ho ritrovato intatti o quasi sono buoni solo per arredare il salone, o rendere un tavolo meno traballante se vogliamo dargli un’utilità meno effimera – e a volerli nobilitare, ci sono ancora tanti muri da isolare termicamente ed acusticamente…
In conclusione: l’inverno si rivela ancora una volta amico del lettore, e stavolta anche compagno dei buoni libri e giustiziere di quelli cattivi. Vi lascio col consiglio di non tenere libri in cantina per più di un paio di mesi, e di farvi mettere sotto al massetto non dico un vespaio aerato, ma almeno uno strato di fondalina. Buon anno!