Treni pazzi

Primo scenario: sei su un treno, il macchinista perde i sensi e la macchina fuori controllo si dirige rapidamente verso cinque malcapitati su un binario. Puoi manovrare il cambio e deviare il treno, ma c’è un tizio pure sull’altro binario. Tiri la leva, pensando – meglio uno che cinque. Secondo scenario: sei su un ponte sopra i binari, vedi che il treno ha perso il controllo e si dirige verso i cinque. Tutto quel che puoi fare è lanciare giù dal ponte un uomo grasso, che col suo peso rallenterebbe il treno. Inorridito resti fermo, e atterrito assisti alla morte dei cinque sventurati. È il noto trolley problem, sul quale Hauser ha incentrato il suo libro e a cui l’Amorale Alex ha dedicato più d’un post (tra cui questo).

trolley problem

Certo, il dilemma morale (dacché è mortale) è presentato quasi come un banale problema matematico, quantitativo – meglio uno che cinque. Ma non è così semplice. Perché nel secondo caso il calcolo non funge? Kant la risposta la sapeva già, e la espose nel secondo imperativo categorico: «Agisci in modo da trattare l’uomo, così in te come negli altri, sempre anche come fine, non mai solo come mezzo». Eppure ci accorgiamo che trattiamo quotidianamente gli altri solo come mezzo solo se c’è di mezzo la morte. Tratto il macellaio, il birraio e il fornaio come meri mezzi, e come mezzo mezzo da loro mi lascio trattare. È forse la reciprocità e nient’altro a farci tollerare che non vi siano fini fini nelle azioni altrui?

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