Socrate e la nascita dello Stato

Ho già detto che la Repubblica intera è un grande esperimento mentale, il primo realmente politico e tra i più azzardati e totali mai compiuti da un filosofo, tanto da farci spontaneamente concordare con quella sentenza che reputa la filosofia occidentale come a series of footnotes to Plato. Così avrei dovuto onestamente abbandonare quel mascherone di Socrate; non prima, però, d’avergli lasciato porre le fondamenta della Politeìa:

«Secondo me […] uno stato nasce perché ciascuno di noi non basta a se stesso, ma ha molti bisogni. […] Così per un certo bisogno ci si vale dell’aiuto di uno, per un altro di quello di un altro; il gran numero di questi bisogni fa riunire in un’unica sede molte persone che si associano per darsi aiuto, e a questa coabitazione abbiamo dato il nome di stato» (Resp. II, 369b-c).

Come punto di partenza sembra assolutamente ragionevole, in linea con le odierne acquisizioni etologiche (l’uomo è un animale tribale, e un uomo solo è un uomo morto) e anticipatore, anzi ispiratore, di un leitmotiv dell’analisi comunista (l’uomo produce per soddisfare i propri bisogni). Ora, per Socrate i primi bisogni sono, nell’ordine, il cibo, la casa e il vestito. Ma ciò comporta la necessità di almeno un agricoltore, un muratore e un tessitore1: in tal modo «il nucleo essenziale dello stato sarà di quattro o cinque persone» (Resp. II, 369d). Certo, si potrebbe ribattere che ognuno potrebbe da sé procacciarsi cibo e fabbricarsi alloggi e vesti, ma Socrate vuole che tutto sia fatto per bene; oltretutto è convinto che

«ciascuno di noi nasce per natura completamente diverso da ciascun altro, con differente disposizione, chi per un dato compito, chi per un altro» (Resp. II, 370b).

Da un lato si spazza dunque il noto pregiudizio sinistro che nasciamo tutti uguali; dall’altro si ricollega la natura di ognuno al compito (il mestiere) che svolgerà: infatti «le singole cose riescono più e meglio e con maggiore facilità quando uno faccia una cosa sola, secondo la propria naturale disposizione e a tempo opportuno, senza darsi pensiero delle altre» (Resp. II, 370c). Questo è un vero caposaldo dello stato platonico: teniamolo bene a mente. Intanto Glaucone, che ha ormai soppiantato Trasimaco come contestatore, obietta che si sta costruendo uno “stato di porci”, così lieti di pascersi di cose da poco, senza alcuna raffinatezza propria dell’“uso comune”2. Socrate si dimostra contrariato verso uno stato che a lui appare lussuoso; nondimeno acconsente a costruirlo e analizzarlo, aggiungendo lavoratori e lavoratrici d’ogni tipo3. Ma vediamo quale sarà la conseguenza di tutto ciò.

«Quel territorio che prima era sufficiente a nutrire i suoi abitanti, da sufficiente sarà diventato piccolo. […] E non dovremo prenderci una porzione del territorio dei vicini se vorremo avere terra sufficiente per pascolare e arare? e non dovranno essi pure prendersene del nostro, se covano anche loro sconfinata brama di ricchezza, oltre il limite del necessario? […] E allora […] faremo la guerra? O come andrà la cosa?» (Resp. II, 373d-e).

Andrà proprio così, o Socrate. Dalla nascita dello stato siamo passati, in men che non si dica, alla nascita della guerra. Che forse nasce prima delle società complesse, secondo molti antropologi, e anzi per diversi etologi è essa stessa un bisogno dell’uomo4, ma sicuramente raggiunge proporzioni immani e innaturali al passo con i sempre più elaborati e compositi – quando non superflui – bisogni dell’uomo5.

  1. Cfr. Resp. II, 369d. []
  2. Cfr. Resp. II, 372d. []
  3. Attori, cuochi, barbieri, cacciatori; etére, nutrici, balie (cfr. Resp. II, 373a-c). []
  4. Vedi L’aggressività di Lorenz o Amore e odio di Eibl-Eibesfeldt – non cito, di quest’ultimo, l’ovvio Etologia della guerra perché non l’ho ancora letto. []
  5. Non posso a questo punto non rimandare all’ottimo Armi, acciaio e malattie di Diamond, che chiarisce storicamente anche il rapporto tra tecnica e dominazione e il legame tra agricoltura (dunque ambiente) e potere. Ma chissà, magari lo includerò nella mia bibliografia minima. []
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