Selezione naturale e sopravvivenza del più adatto

La selezione naturale è il « principio grazie al quale ogni più piccola variazione, se utile, si conserva » (Darwin 1859, p. 87), e venne chiamata così in analogia alla selezione “artificiale” operata dall’uomo; tuttavia, a differenza di quest’ultima, si tratta di « un potere sempre pronto ad operare, incommensurabilmente superiore ai deboli sforzi dell’uomo » (Darwin 1859, p. 87). Tale “potere” tanto efficace assume le caratteristiche della necessità naturale, ed è proprio questo che rende la concezione darwiniana tanto efficace e così impressionante; come commenta Dennett,

« Quel che Darwin capì fu che se soltanto si suppone che nel momento cruciale valgano queste poche condizioni generali – condizioni per le quali era in grado di fornire ampie prove – il processo risultante porta necessariamente nella direzione di individui delle generazioni future che tendono a essere meglio attrezzati a fronteggiare quei problemi di limitazione delle risorse affrontati dagli individui della generazione precedente » (Dennett 1995, p. 50).

Nella sesta (ed ultima) edizione dell’Origin (1872) Darwin si decise ad adottare la locuzione più iconica (ma anche più ambigua) coniata da Herbert Spencer, “survival of the fittest”, sopravvivenza del più adatto. Si tratta di un’espressione che Darwin tuttavia definì e riconobbe essere « più precisa e talvolta altrettanto conveniente » (Darwin 1859, p. 98) rispetto alla sua “selezione naturale”. In effetti, a ben guardare, con l’evoluzione per selezione naturale Darwin non riesce esattamente a spiegare, come si era proposto sin dal titolo dell’opera, come abbiano origine le specie, ma semplicemente descrive un processo in base al quale gli individui che mostrano dei vantaggi tendono a sopravvivere meglio e riprodursi di più dando luogo ad una “discendenza con modifica”. La speciazione dovrebbe essere una conseguenza dell’accumulo delle modifiche ereditate; tuttavia la selezione naturale in atto appare semplicemente come il meccanismo che favorisce i più adatti nella lotta per l’esistenza.

Darwin
Il processo della selezione naturale, che ha la sua materia nelle variazioni che si presentano spontaneamente negli individui in natura, è in realtà duplice: da un lato si ha la « conservazione delle variazioni favorevoli », dall’altro vi è « eliminazione delle variazioni nocive » (Darwin 1859, p. 100). Ciò implica due cose: la prima è che ovviamente possono esservi tanto variazioni vantaggiose quanto mutamenti dannosi1; la seconda è che, intuitivamente, questo accumulo di variazioni vantaggiose porterà ad organismi sempre più “ottimizzati”, ad individui sempre più “adatti” all’ambiente e alle condizioni in cui vivono. Lo stesso Darwin se ne rese conto e commentò:

« Qualsiasi lieve modificazione – che comparisse casualmente nel corso delle età, e che fosse tale da favorire in qualsiasi modo gli individui di una specie qualunque, rendendoli meglio adatti alle nuove condizioni – tenderebbe a conservarsi e, quindi, la selezione naturale potrebbe esercitare liberamente il suo lavoro di perfezionamento » (Darwin 1859, p. 101).

Fin qui ho cercato di esporre il nocciolo della teoria dell’evoluzione rifacendomi essenzialmente a quanto esposto da Darwin nell’Origin. Nei prossimi post parlerò della “Sintesi moderna”, ovvero l’unione della teoria di Darwin con la genetica di Mendel, per poi passare alle odierne revisioni del darwinismo.

Riferimenti bibliografici:
DARWIN, C. (1859, 1872), L’origine delle specie, Newton Compton, Roma 2000.
DENNETT, D.C. (1995), L’idea pericolosa di Darwin, Bollati Boringhieri, Torino 1997.

  1. In realtà sono di gran lunga più frequenti le mutazioni dannose (che dunque contrastano l’evoluzione!), ma ancor più spesso si presentano cambiamenti ininfluenti per la fitness dell’individuo, mutazioni neutrali. []
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