Nei giorni della quarantena indiscriminata, mentre leggevo e scrivevo e m’angosciavo, mi chiedevo in quanti libri prossimi venturi avrebbe fatto capolino la pandemia che stiamo vivendo. Ebbene: Radical choc di Raffaele Alberto Ventura (Eschaton per gli internauti) è il primo della serie che leggo. (È anche il primo libro che leggo pubblicato quest’anno, incidentalmente…).
In realtà questo libro era nel bel mezzo della stesura già un anno fa, quando il mondo era un posto più lieto che ora: il coronavirus fa capolino all’inizio, nel capitolo zero, e serpeggia qua e là, come aggiunta postuma ma non posticcia, perché Radical choc tratta dei competenti – funzionari, scienziati, intellettuali, manager: quella classe di mezzo che una volta era borghesia e oggi è una sorta di élite della conoscenza, ma una élite ormai in decadenza, non così elitaria e nemmeno tanto competente a dirla tutta. Purtroppo nel nome della competenza viene giustificata ogni sorta di misura anche drastica, per cui «è lecito chiedersi come, quando e perché abbiamo delegato così tanto potere sulle nostre vite. Ma soprattutto: a chi lo abbiamo delegato?». Inoltre, nel momento in cui ci rendiamo conto che i competenti possono mandarci in rovina, sorge una nuova questione: «a cosa servono le élite nel momento in cui non riescono più a mantenere le loro promesse?».
A questo punto parte lo spiegone sul come e perché viviamo in una società in cui non riusciamo a fare a meno dei competenti: prendendo le mosse da Hobbes e dall’ascesa degli stati assoluti nel seicento – o più indietro da Ibn Khaldūn e dall’epidemia di peste nera del trecento – Ventura argomenta sulla complessità della società attuale e del suo sistema capitalistico-tecnologico che «produce degli individui dipendenti dalla tecnologia e dagli esperti»: alla fine «tutti dipendiamo indirettamente dal modo di produzione che genera la ricchezza necessaria per finanziare la tecnostruttura che ci tiene in vita». Il problema è che la tecnologia sorge per risolvere problemi – per aumentare la sicurezza, sommo bene per Hobbes e per l’umanità tutta, e diminuire i rischi – ma finisce col causare altri problemi (Illich parlerebbe di effetti iatrogeni).
«Il problema, a monte, è che la nostra società produce troppi rischi: non soltanto non possiamo prevederli tutti, ma ogni azione o non-azione ne produce di nuovi». Dalla guerra al terrorismo alle misure contro il coronavirus, il mondo in cui viviamo – almeno quello occidentale bianco e benestante – è sempre in allerta per tenerci al sicuro: ma quanto ci riesce veramente? «C’è anche un rischio nel volerci proteggere da tutti i rischi»: questo rischio è dato da un rapporto costi-benefici spesso ormai svantaggioso – per evitare forse una decina di casi di covid si fa indossare la mascherina giorno e notte all’aperto a cinque milioni di siciliani. Questi diktat, che tendiamo ad attribuire ai politici, in realtà vengono da quella classe di competenti che «indicano le opzioni più razionali in ogni campo». I risultati ottenuti sono però ormai così scarsi che non dobbiamo stupirci se ovunque sono in ascesa movimenti populisti, antielitisti e troppo frettolosamente bollati come di ignoranti che declamano che non ce n’è coviddi. La verità è che «ci troviamo continuamente posti sotto al ricatto della sicurezza», e chi manifesta anche solo un minimo di dissenso viene tacciato come folle, stolto o minus habens soprattutto da quell’élite (pseudo)culturale sinistrorsa che a ben vedere appartiene proprio all’area dei cosiddetti competenti, o sgomita per farne parte…
In realtà, secondo Ventura e con lui una sfilza di studiosi più o meno famosi citati a man bassa nelle note del libro, ci troveremmo nel bel mezzo di una crisi del sistema capitalistico-tecnologico, dovuta non tanto alle sue pecche sempre più evidenti ormai a chiunque, quanto ai suoi rendimenti decrescenti: le promesse di benessere per tutti non vengono più mantenute, ergo il capitalismo, e con esso la sua pletora di competenti, non trova più la sua legittimazione. Dopo mezzo secolo dalle critiche sessantottine – pensiamo alla scuola di Francoforte, a Debord, a Foucault… – è ora di guardare in faccia la realtà che appariva ben chiara già allora: «la minaccia è solo rimandata: se il sistema assorbe gli choc e appare impossibile da rivoluzionare nonostante un ampio mandato elettorale, le nuove crisi continueranno a fargli subire colpi sempre più violenti». A risultare esiziale per il sistema sarà la discrepanza e la distanza tra centro e periferia – tra dominanti e dominati, in altre parole: «se consideriamo l’ordine politico moderno come un rapporto di scambio ineguale tra un Centro dove si concentra il capitale-competenza e una Periferia che fornisce il lavoro materiale, allora tale rapporto entra in crisi nel momento in cui lo scambio non viene più ritenuto vantaggioso».
Bene: abbiamo capito che Ventura è un altro profeta apocalittico. Si è fatto conoscere qualche anno fa per essere il cantore della “classe disagiata”, quella degli intellettuali che non trovano spazio nell’élite culturale non necessariamente perché non sono meritevoli, ma semplicemente perché sono troppi. Oggi tuttavia di fatto è abbastanza integrato: pur non essendo un accademico ha scritto un saggio sui competenti con competenza, pubblicato dall’Einaudi per giunta, ed è un saggio filosofico in senso pieno, che non si limita a una visione ristretta da cattedratico iperspecializzato (quei competenti di nicchia che abbiamo imparato ad aborrire…) ma mette insieme sociologia, economia, politica e storia, nonché citazioni da fumetti, romanzi e cinema che fa tanto pop e tiene desta l’attenzione del lettore ormai sempre più distratto. Al di là dell’hype da marketing in cui RAV è bravo almeno come nello scrivere, il libro merita anche solo per la conclusione che «il meccanismo della competenza, per come è concepito oggi, è una fondamentale fonte di ineguaglianza e di fragilità sistemica». Ricordiamocelo ogni volta che cianciamo di meritocrazia.
(Pubblicato nel numero 408 di Sicilia Libertaria)